La storia

A cura di Bruno Lavagnini

Non lieve sulla Sicilia l’orma di Bisanzio e della civiltà bizantina, se anche attenuata nella memoria dal lungo tempo intercorso e dalla molteplice successione degli eventi e delle dominazioni che costituisce la ricca e varia storia dell’Isola. Eppure nessuna altra città d’Italia, dopo Ravenna, conserva così ricche e splendide testimonianze dell’arte imperiale di Bisanzio come Palermo nei suoi monumenti. Negli splendidi mosaici della Martorana, della Cappella Palatina, del Duomo di Monreale risplende e si perpetua perenne l’intatto fulgore dell’autunno bizantino che illumina la gloria dei re Normanni di Sicilia, più volte emuli di Bisanzio imperiale e soggiogati dal fascino della sua civiltà.

È un segno dell’oblio e della smemoratezza degli uomini il parlare di arte arabo-normanna, quando il discorso cade su tali insigni monumenti. Tale vocabolo, nato dall’ignoranza di eruditi provinciali, appare inadeguato e falso di fronte alla prospettiva storica dell’indagine moderna, che riconosce nei mosaici palermitani uno splendido riflesso dell’arte bizantina dell’età dei Comneni. Tale errore è tuttavia altamente significativo, perché dice sino a qual punto il senso del passato possa essere cancellato dalla memoria degli uomini. E ciò benché l’ombra di Bisanzio e della civiltà bizantina si sia estesa per quasi un millennio sull’isola mediterranea.

La Sicilia era stata greca all’alba della sua storia. Poi fu romana per sette secoli. Vandali e Goti se ne contesero il possesso dopo la caduta dell’Impero d’Occidente. Ma ecco che nel VI secolo d.C. le armi di Giustiniano rivendicano l’eredità della vecchia Roma. Dopo aver tolto l’Africa romana ai Vandali, Belisario nel 535 d.C. libera la Sicilia dai Goti e inizia la riconquista d’Italia. La Sicilia è per tal modo tornata nell’ambito dell’Oriente greco. La rete dei traffici la lega al Levante. Dall’Egitto e dalla Siria le forme della religiosità e dell’arte bizantina trovano attraverso la Sicilia una nuova via di penetrazione verso l’Occidente barbarico. Per qualche anno la capitale greca dell’Isola, la nobilissima Siracusa, è provvisoria capitale dell’impero. Un successore di Eraclio, l’imperatore Costante II, vi risiede per quattro anni e mezzo e vi è spento nel 668 da mano omicida. Anche quando divenne effettiva, coll’occupazione di Siracusa da parte dei Saraceni nell’878 d.C., la conquista araba dell’Isola, la Sicilia resta tuttavia bizantina nelle forme della cultura e della vita religiosa, nonostante la colonizzazione araba, limitata soprattutto alla Sicilia meridionale e occidentale.

Ciò ebbe a riconoscere, riunito in Palermo nell’aprile del 1951, l’VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini. Alla storia e alla cultura bizantina della Sicilia e dell’Italia meridionale i 235 studiosi raccolti nelle splendide sale della Biblioteca Nazionale avevano dedicato un buon terzo delle comunicazioni scientifiche (circa 70) sulle 200 e più inseritenei due tomi degli Atti, successivamente pubblicati, a Roma, nel 1953. E nella seduta di chiusura, il 10 aprile 1951, con voto unanime il Congresso si pronunziò per la creazione a Palermo di un Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Post-bizantini. Nel voto del Congresso era implicito il riconoscimento della difficoltà, per studiosi singoli, di attendere a ricerche di alta specializzazione, senza che sia preventivamente creata una organizzazione ed una attrezzatura adeguata, nella quale la vocazione del singolo trovi sostegno, coordinamento, assistenza.

Nel voto era anche implicito l’augurio che il Governo della Regione Siciliana, che aveva generosamente contribuito al finanziamento del Congresso, si assumesse il compito delle iniziative rivolte alla valorizzazione della cultura regionale. Coll’aiuto della Regione poteva farsi a Palermo quanto già si era fatto altrove in questo campo di studi. Basterà ricordare la fondazione di Dumbarton Oaks a Washington, I’Istituto di Studi Bizantini di Boston, la Società per gli Studi Bizantini di Atene, e a Bruxelles la Società dei Bollandisti e il Seminario di Filologia e Storia Orientale e Slava, a Parigi l’Istituto Francese di Studi Bizantini dei Padri Assunzionisti, a Monaco di Baviera il Seminario Bizantino e gli Istituti annessi alle Abbazie di Scheyern e di Ettal. In vista di tali esigenze il Comitato regionale che aveva organizzato il Congresso, dopo che ebbe predisposto la pubblicazione degli Atti, non considerò con ciò conclusa la propria missione. Ed eccolo trasformarsi, il 25 marzo 1952, in Comitato promotore per gli studi bizantini in Sicilia, il quale predispose la creazione dell’auspicato Istituto e ne avviò le prime attività. In realtà, non si trattava soltanto di accogliere il voto del Congresso, ma anche di ubbidire ad una viva istanza imposta dalle tradizioni dell’Isola, ad un imperativo della stessa cultura regionale. Alla Sicilia bizantina aveva infatti rivolto per primo la propria attenzione-vero pioniere degli studi bizantini nell’Isola – il siracusano P. Ottavio Gaetani, S. J. (1570-1620). Le Vite dei santi siciliani, di cui egli curò la raccolta e che furono pubblicate nel 1657, rappresentano un primo sistematico sforzo di indagine sulla Sicilia nell’età bizantina. E dopo il Gaetani, ecco il benemerito Giovanni Di Giovanni (1699-1754), l’iniziatore del Codex Siciliae Diplomaticus. Più vicini a noi, lo Spata, il Trinchera, il Cusa, anche essi editori di carte e pergamene di età bizantina. Ma non è qui luogo a enumerare tutti gli studiosi, taluni a noi più vicini, come il Salinas e il Pace, benemeriti degli studi bizantini in Sicilia. Quello che conta rilevare è l’isolamento e il frazionamento dei loro sforzi, rivolti, se si prescinde dall’agiografia e dalla diplomatica, a problemi singoli, mentre si intravede la necessità di promuovere un’indagine sistematica, dei vari settori, in vista di una più larga sintesi storica. Solo nel campo dell’arte bizantina, con Paolo Orsi e poi con Giuseppe Agnello, si è compiuto uno sforzo sistematico soprattutto per lo studio dei monumenti. Ma la numismatica, non meno del diritto, la linguistica, la toponomastica , la storia civile e religiosa attendono tuttora il loro approfondimento. E che dire dei testi greci tuttora inediti? Testi agiografici ricchi di riferimenti storici, omiletica, innografia, documenti di un’alta vita religiosa nell’Isola. Gli storici medievalisti sanno altresì quanta parte della storia dell’Isola, anche durante l’età araba e normanna, sia da ricercare e interpretare nelle pagine degli storici bizantini.

Il voto del Congresso di Palermo è dal 1960 una realtà operante grazie a un provvedimento legislativo della Regione Siciliana. Per verità, già il Comitato promotore non era rimasto inerte, ma si era sin dall’inizio assunto, sia pure parzialmente, le attività del nascituro Istituto. Fu così che tra il 1954 e il 1959 videro la luce, grazie al concorso dell’Assessorato Regionale per l’Istruzione, i primi quattro volumi della serie «Testi», volumi notevoli e che per la risonanza che ebbero nella stampa nazionale e internazionale contribuirono ad affermare il prestigio dell’Istituto ancora nella prima fase della sua esistenza. Il primo volume (1954) è costituito dalle Epistole greche di Barlaam Calabro, il monaco di Seminara che fu noto al Boccaccio e al Petrarca e morì vescovo di Gerace in Calabria nel 1350. Edite e dottamente illustrate da Giuseppe Schirò, queste lettere teologiche sono un documento storico e culturale di particolare valore per la controversia esicasta e per il contrasto fra Greci e Latini alla metà del secolo XIV. Allo stesso Schirò si deve anche la pubblicazione, nel secondo volume, della vita greca di San Luca vescovo di Isola Capo Rizzuto, che vide le difficoltà della chiesa greca in Calabria nel primo insediarsi della conquista normanna. Il successivo volume, Testi neogrecí di Calabria, a cura di Giuseppe Rossi Taibbi e di Girolamo Caracausi, nelle sue cinquecento pagine offre un corpus, il più completo che si abbia sinora, di testi di carattere popolare redatti nel dialetto neogreco di Calabria (Bova), e rappresenta un valido contributo agli studi della dialettologia neogreca in questo particolare settore. È nota infatti la controversia relativa a questa isola linguistica che dai più è attribuita alla colonizzazione bizantina di età medievale, mentre recenti studi hanno voluto vedervi una sopravvivenza di parlate doriche della Magna Grecia. I testi, riportati in trascrizione fonetica, sono accompagnati da traduzione italiana.

Nello stesso anno 1959, a cura dello stesso G. Rossi Taibbi, si e avuta anche l’edizione critica in unico volume di due testi agiografici inediti, il Martirio di S. Lucia è la Vita di S. Marina.

Una nuova fase nella vita dell’Istituto si aprì con la legge regionale del 31 maggio 1960, la quale, mentre consentiva il finanziamento delle attività editoriali già avviate, rese altresì possibile la creazione di quelle strutture materiali che erano necessaria premessa alla integrale attuazione del suo programma.La legge regionale n. 66 del 7 agosto 1975 ha riconosciuto l’attività sin qui svolta dall’Istituto provvedendo ad assicurarne l’ulteriore finanziamento. L’Istituto possiede così ora una sede organizzativa e di studio, nella quale è anche raccolta una biblioteca specializzata, ricca di oltre 7.000 volumi e di 50 riviste e pubblicazioni periodiche, quasi tutte ottenute in cambio da parte di istituzioni straniere di vari paesi. Un incremento notevole è stato conseguito nel 1964 grazie all’acquisto della biblioteca del bizantinista Silvio Giuseppe Mercati (1877-1963), ricca di opere pregevoli e rare e di molte migliaia di opuscoli.

L’Istituto, costituito inizialmente da un numero chiuso di soci fondatori, ha assunto una nuova struttura col nuovo statuto del 22 giugno 1975 grazie al quale esso risultava costituito da 40 soci italiani come ordinari e da 40 stranieri come corrispondenti oltreché da un numero non precisato di soci onorari, allo scopo di estendere e ampliare le sue attività e di consolidarle sul piano internazionale. Nel numero dei soci ordinari furono inclusi i quindici soci fondatori superstiti.

L’Istituto aveva così perfezionato e consolidato la sua struttura di sodalizio scientifico e si credette opportuno di avviare la pratica per il suo riconoscimento come ente morale. Le autorità competenti richiesero a tale scopo che l’art. 4 dello statuto fosse integrato coll’inserimento di una modifica che istituisse a carico dei soci ordinari un determinato contributo sociale che fu successivamente stabilito dal Consiglio direttivo nella seduta del 10-10-1980. Il desiderato riconoscimento giuridico fu concesso con D.P.R. 3 febbraio 1981 n. 601 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 29-10-1981. Nel frattempo erano state anche superate le non lievi difficoltà attraversate dall’Istituto per il prolungarsi delle pratiche per il rinnovo e l’aumento del contributo regionale, attualmente regolato dalla legge regionale 30 dicembre 1980, numero 154. Mediante atto notarile del 25 marzo 1982 sono state poi portate allo statuto leggere modifiche di carattere formale, elevando da 40 a 60 il numero dei soci corrispondenti, e creando la nuova categoria dei soci aggregati, distinta nelle due sezioni degli studiosi e degli studenti, riservate rispettivamente a studiosi non specializzati e a semplici studenti.

L’Istituto, la cui costituzione e il cui programma erano stati oggetto, da parte di chi scrive, nella sua qualità di presidente, di una particolare comunicazione nel settembre 1958 a Monaco di Baviera, nel quadro dell’XI Congresso Internazionale di Studi Bizantini, poté essere ufficialmente presente al successivo Congresso, il XII, che si tenne a Ochrida nel settembre 1961. Nei successivi Congressi internazionali di studi bizantini, ad Oxford (1966), a Bucarest (1971), ad Atene (1976), l’Istituto è stato adeguatamente rappresentato non solo dal Presidente, ma anche da una attiva partecipazione di Soci, accompagnata da esposizione delle proprie pubblicazioni.

Una menzione particolare merita il Convegno regionale di studi bizantini organizzato, a titolo sperimentale, nell’ottobre 1961, nel quadro di un «Convegno siculo-orientale» allora promosso dal Centro di cooperazione mediterranea.

Vi parteciparono qualificati studiosi italiani e stranieri con relazioni: sulla conservazione dei monumenti bizantini di Sicilia (G. Agnello), sulla agiografia (G. Schirò), sulla sigillografia (V. Laurent), sul preumanesimo in relazione alla cultura bizantina dell’Italia meridionale (A. Pertusi). Tali relazioni, con altro materiale, sono ora raccolte nel fascicolo Byzantino-sicula, pubblicato nel 1966 nella serie dei «Quaderni». È da segnalare la favorevole risonanza internazionale del Convegno (cfr. «Revue des Études Byzantines», XX, 1962, pp. 249-250 e «Byzantinoslavica», XXIII, 1962, p. 353). Sulla base di tale convegno l’Istituto non ha cessato di sviluppare attraverso visite di singoli studiosi a Palermo una intensa rete di rapporti internazionali, in vista di una sempre più larga collaborazione colle istituzioni similari italiane e degli altri paesi.

Nel periodo dal 1962 al 1976 oltre 65 studiosi provenienti da 18 differenti paesi, hanno incentivato con conferenze e seminari le attività dell’Istituto (Italia, Grecia, USA, Romania, Francia, Germania Federale, Cecoslovacchia, Bulgaria, Jugoslavia, Malta Cipro, Austria, Belgio, Israele, URSS, Ungheria, Svizzera, Spagna).